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di Ettore Maccopazza

[Ai vecchi tempi c’era un bel volo da Washington DC a Londra Gatwick e da lì a Verona, dove potevo prendere una macchina e guidare fino a Bologna. Ma dopo l’11 settembre e le disavventure finanziarie di tutte le compagnie aeree, la British Airlines cancellò alcuni voli e ne trasferì altri. Quindi il modo migliore di raggiungere Verona o Bologna era di volare con la Delta da Washington DC a New York e prendere il volo diretto per Venezia, quello che decisi di prendere.]

Volai a Venezia, presi un treno per Bologna, affittai una macchina e guidai fino alla proprietà di Grafin von Schlosser. Era situata [non lontano da dove vive anche un professore del MIT] sulle colline tra Bologna e Firenze e dominava la valle sottostante. La casa era forse troppo piccola per essere considerata un castello, ma era decisamente più grande di qualsiasi casa, non importa quanto grande, che poteva essere trovata nelle vicinanze.

All’entrata della proprietà si poteva leggere l’insegna Villa von Schlosser. Dietro il cancello la strada non era lastricata e non si poteva guidare a più di dieci chilometri orari. A quella velocità ci vollero quindici minuti per andare dal cancello alla casa.

La casa era costruita solidamente. Aveva una porta di legno decorata con lo stemma della famiglia e piccole finestre, ognuna delle quali era protetta da un’inferriata. Il mio arrivo fu accolto dall’abbaiare di vari cani, che sembravano più o meno minacciosi. Era un gruppo di sette, tre Doberman e quattro Rottweiler.

Non appena spensi il motore, il maggiordomo di Grafin von Schlosser aprì la porta di quella casa meravigliosa e mi invitò ad entrare, anche se pensai che fosse apparso solo per evitare che i cani mi divorassero. La casa era fredda e male illuminata. C’erano alcuni quadri alle pareti che, credo, ritraevano i membri un tempo gloriosi della famiglia Schlosser.

Grafin von Schlosser mi aspettava in biblioteca. Le stanze erano molto alte, i soffitti erano affrescati e i muri erano coperti da una biblioteca che sembrava infinita. C’erano migliaia di libri, forse centinaia di migliaia. Non appena entrai nella stanza non potei non notare alcune preziose edizioni della Bibbia, inclusa una copia della prima edizione di Gutenberg, e una copia di Uccelli d’America di Audobon lasciata sbadatamente sul tavolino del caffè.

“Ha buon gusto, signor Malef, è un libro prezioso” disse la vecchia signora con una voce metallica.

“Lo è davvero”

“Vedo che ha un grande interesse per i libri”

“Verissimo”

“Il suo nome è Malef, giusto? Samuel Malef, il famoso collezionista” aggiunse freddamente.

“Sì, sono io”

“Perché concede l’onore di una visita ad una vecchia signora?”

“L’onore è tutto mio, Grafin. Alcuni amici mi hanno suggerito che lei era probabilmente la sola persona che potesse fornirmi alcune delle informazioni che sto cercando”

“Cerca informazioni da una vecchia signora? Non lascio mai questa casa, non conosco le vie del mondo, non so molto e ho dimenticato quasi tutto quello che sapevo, che cosa le fa pensare che potrei esserle di qualche aiuto?”

Mi avvicinai a Grafin Schlosser, mi sedei sul divano e infine riuscii a osservarla. Era una piccola, minuta vecchia signora. Ma non c’era niente di debole in lei. Sembrava che fosse fatta di ferro.

“Mi hanno detto che lei sapeva qualcosa a proposito di Strasser e dei suoi viaggi, è vero?”

“Sì, è ciò di cui parlo nel mio libro”

“Parla anche dei viaggi di suo marito così come dei suoi”

“E’ vero, siamo stati una famiglia di soldati ed esploratori”

“Perché in Africa?”

“Perché no?”

“Perché il Sahara?”

“Perché no?”

“Vi aspettavate di trovare qualcosa?”

“Non capisco”

“Pensavate che avreste trovato qualcosa in quella regione?”
“Sono certa che si possano trovare molte cose dappertutto”

“E voi avete trovato qualcosa?”

“Oh, sì. Abbiamo trovato molta sabbia, molto caldo, vari scorpioni e i semi di rari fiori del deserto”

“Ma non è questo che mi interessa”

“Cos’è che le interessa, giovanotto?”

Non avrei mai pensato che qualcuno mi potesse chiamare giovanotto a settantasette anni. E sono sicuro che, se chiunque altro avesse usato questa espressione, avrei riso o l’avrei preso come un complimento. Ma era chiaro che stava sgridando un giovane, insolente bambino, come avrebbe fatto una vecchia insegnante tedesca.

“Strasser scrisse ampiamente sull’Africa”

“Anche io, anche mio padre ce chiunque altro nella mia famiglia”

“Ma Strasser era l’unico che scrisse di magia africana, di miti e leggende”

“Io non mi ricordo, non ho letto la sua opera negli ultimi quarant’anni”

“Bé, era  apparentemente ossessionato dal Serpente Nero”

“Non lo sapevo”

“E andò in viaggio ad Audaghost per trovarlo ma il Serpente Nero non è mai menzionato nel suo Diairo di Viaggio. Non è strano?”

“Cos’è che trovi così sorprendente?”

“Il fatto che non venga menzionato il Serpente Nero”

“Forse perché tale serpente non esiste”

“Forse perché lui trovò il Serpente Nero ma pensò che i suoi poteri erano troppo forti per essere riportati nel mondo, non è così?”

“Perché io dovrei sapere se hai ragione?”

“Lei deve aver visto il serpente, lei era là, non è vero?”

“Io ero là e non c’era nessun serpente, a parte quelli morti nelle nostre tende”

“Ma Strasser non pensava che il Serpente Nero fosse in qualche modo sopravvissuto in una caverna negli inferi per novecento anni?”

“Davvero?”

“Sì, davvero”

“Bé, sembra che lei sappia molto più di me. Vede? Gliel’ho detto, questa vecchia signora non le è molto d’aiuto. Non c’è niente che io le possa dire”

“Ma supponiamo che Strasser trovò ad Audaghost l’entrata degli inferi. Ci si avventurò e trovò il serpente. Una volta che capì che il serpente era troppo potente lo lasciò lì. Ma il tesoro, l’oro?”

“Quale oro?”

“Non trovò dell’oro?”

“Non che io sappia”

“Quindi sta dicendo che non trovò niente ad Audaghost?”

“Forse trovò qualcosa, forse no, come le ho detto ci sono molte cose che non so”

“Ma se trovò l’oro, che cosa se ne fece?”

“Credo che lo debba chiedere a se stesso, perché io non ne ho idea”

“Ma lei era lì”

“Sì e non ho visto nessun oro”

“Ma deve aver trovato l’oro”

“Perché?”

“Non lo so, non riesco ancora a spiegarmi perché debba averlo trovato, ma sono sicuro che è così”

“Perché?”
“E’ stato uno scrittore quasi tutta la vita, dopo Die Neuzeit dedicò la sua attenzione alle leggende africane, andò in Africa, attraversò il deserto per una strada che sarebbe stata impossibile per chiunque altro, dimostrò una conoscenza dei segreti dell’Africa che non ha mai avuto nessun uomo, o almeno nessun uomo bianco, ha raggiunto Audaghost, è tornato a casa, ha smesso di viaggiare, di scrivere, di vedere gente. E’ tornato diverso. C’è solo una cosa che può averlo cambiato in questo modo”

“Cosa?”

“Il successo. Scoprì che aveva ragione, che aveva sempre avuto ragione, ma non sentì il bisogno di convincere i suoi detrattori. Sapeva di aver ragione e questa consapevolezza gli diede tanta fiducia in se stesso da non dover scrivere per sostenere la sua tesi. Quindi deve aver trovato il Serpente Nero e il tesoro. Ora capisco che lasciò il serpente al suo posto, per ragioni che forse lei ritiene incauto rivelare, ma prese il tesoro e lo portò con sé”

“Davvero?”

“Sì, ma non in Germania. Non gli piaceva come stavano andando le cose, non gli piaceva il regime nazista, non voleva che Hitler usasse il suo oro, l’oro del Serpente Nero, per finanziare la macchina da guerra tedesca. Capii che Hitler era, come dire, malvagio, pura malvagità. E decise che non voleva essere complice di un tale uomo. Non voleva avere un redde rationem per peccati così grandi. Ecco perché prese l’oro, lo portò con sé e lo nascose da qualche parte”

“Affascinante”

“Grazie”

“Pensa di scrivere un romanzo?”

“No”

“Che cosa pensa di fare?”

“Voglio capire perché i suoi libri sono diventati così rari, così preziosi”

“Perché lo chiede a me?”

“Perché lei è della famiglia di Strasser”

“Ma lui è morto da molto tempo e io non lascio questa casa da secoli, come potrei sapere che è diventato uno scrittore di successo?”

“Non lo so”

“E chi le ha detto che io avrei potuto dirle ciò che lei voleva sapere?”

“Non lo so”

“Non conosce le sue fonti?”

“No”

“Quante persone sanno che lei è qui?”

“Nessuno, penso”

“Quindi potrei ucciderla e nessuno lo scoprirebbe”

“Sì”

“Sa chi sono io?”

“Sì”

“Sa quali erano le idee politiche della mia famiglia?”

“Sì”

Quindi che cosa le ha fatto credere che avrebbe potuto venire qui ed essere al sicuro?”

“Strasser”

“Strasser?”

“Dopo il suo viaggio era un uomo diverso, e lui cambiò tutti voi. Siete cambiati tutti ed ecco perché il regime crollò. Perché non aveva più il vostro appoggio, il supporto di persone come voi. Lei e la sua famiglia non avevate per quel regime più simpatia di quanta ne potessimo avere io e la mia famiglia. Ecco perché è sicuro essere qui a parlare con lei”

“Posso dirle una cosa?”

“Sì”

“Nel suo caso è difficile dire se la sua intelligenza è più grande del suo coraggio o viceversa”

“Lo prendo come un complimento”

“E’ così che lo intendevo. C’è altro che mi vuole chiedere?”

“No, credo di aver avuto tutte le risposte che stavo cercando”

“Bene, ma io ho una domanda per lei”

“Sa chi le ha detto di venire qui”

“No”
“Forse lo dovrebbe scoprire”

“Forse”

“Arrivederci signor Malef, è stato un piacere conoscerla”

“Il piacere è tutto mio”

Abbozzò un sorriso e, per la prima volta da quando l’avevo incontrata, sembrò umana.

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