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di Ettore Maccopazza

Nella mitologia greca e romana gli Dei erano creature molto potenti e capricciose. Disordinavano le faccende degli umani, causavano guerre, piaghe, distruggevano intere città, stupravano donne ed evitavano che i viaggiatori tornassero a casa anche solo per il gusto di essere intrattenuti. Per quanto potenti potessero essere, gli Dei greci e romani non lo erano del tutto. C’era una forza alla quale dovevano obbedire: il fato.

Ogni qualvolta il fato decideva uno specifico destino per un certo Dio, città o persona, non c’era niente che nessuno potesse fare per cambiare il corso degli eventi. Per quanto personalmente non abbia mai creduto in culti e superstizioni degli antichi greci e romani, ho sempre sospettato che le vite umane, inclusa la mia, dipendessero in modo considerevole dalle decisioni di quel potente dio che gli antichi chiamano fato, destino, sors, fortuna.

Tutti i miei piani, tutte le mie speranze di risolvere il caso di Strasser, le mie speranze di andare ovunque dipendevano interamente dal fato. E dato che così tante cose dipendevano dal fato, e la sua voce sembrava risuonare in ogni angolo dell’esistenza umana, il fato non mancava di far sentire la sua voce.

Andai in Internet e cominciai a cercare libri africani, libri sull’Africa, libri scritti da esploratori africani. Tutta questa faccenda di Strasser mi aveva preso talmente tanto tempo che stavo trascurando i miei interessi professionali. Non ero al passo con i prezzi, né stavo cercando nuovi tesori, non stavo arricchendo le mie collezioni né cominciandone delle nuove. Dovevo rimettermi al lavoro.

E’ vero che alla mia età con qualche risparmio e con il mio modesto stile di vita non ho bisogno di lavorare come facevo prima. Potrei prendermela comoda. Potrei lavorare meno. Potrei persino smettere del tutto di lavorare. E potrei cercare di fare qualcos’altro o semplicemente annoiarmi. Ma perché? Il mio lavoro è ciò che mi mantiene vivo. Pensare che ho un migliore senso del mercato dei miei concorrenti, che posso creare collezioni che loro nemmeno si sognano, e che posso battere ragazzi che potrebbero essere letteralmente miei figli e nipoti, è ciò che mi tiene vivo. Mi fa sentire bene.

E non stavo facendo il mio lavoro come si deve. Stavo trascurando la cosa che è stata la passione della mia vita, il mio grande amore, la mia gioia: il mio lavoro.

Se questa faccenda di Strasser avesse portato a qualcosa, avrei forse potuto trovare un tesoro o qualcosa che potesse fornire considerevoli profitti. Ma non stavo facendo alcun progresso, Strasser aveva ammesso che non aveva mai trovato nulla, e probabilmente da qualche parte c’erano JOKESTERS che deridevano me e le mie stupide imprese. Dovevo rimettermi al lavoro e cominciare un nuovo progetto. E dato che, nel mio vano tentativo di risolvere l’enigma di Strasser, avevo passato tanto tempo pensando all’Africa, pensai che poteva essere appropriato fare una collezione di libri di viaggio africani.

Andai in Internet e cominciai a controllare il mercato. E il mercato non era buono per gli acquirenti. Il Journal d’un Voyage à Temboctou et à Jenne  di René Caille era in vendita a 7000 dollari americani, Timbuktu di Oskar Lenz era in vendita a 1200 dollari, Reisen und Entdeckungen in Nord-und Central-Afrika in den Jahren 1849 bis 1855 a 9000 dollari. I prezzi erano assolutamente folli. Di certo avrei potuto spendere del denaro per comprare uno o due di questi libri, e se davvero mi fosse importato della mia Timbuktu avrei potuto forse fare lo sforzo di comprarli tutti. Ma non compro libri rari, edizioni rare, lettere, manoscritti e autografi per il gusto di comprarli ed ammassarli nel mio appartamento. Compro cose per fare collezioni che poi posso vendere. Ma se comincio spendendo una media di 6000 dollari a libro, non c’è modo di trovare un mercato per una collezione del genere. E se non c’è mercato o se non c’è la minima speranza di avere un mercato per una specifica collezione, non c’è motivo di lanciare un progetto del genere.

Ero prossimo a pensare che la mia proverbiale fortuna mi avesse abbandonato. Ma di regola non mi concedo di avere questo genere di idee. Non puoi mai sapere dove ti porterà la fortuna, un’occasione persa è spesso l’inizio di una nuova e più gratificante impresa. Continuai a cercare i libri finchè trovai qualcosa che colpì la mia attenzione: Da Tripoli a Timbuktu di Emilia von Schlosser, in vendita a 85 dollari. Il libro attirò la mia attenzione per varie ragioni. La prima era che il prezzo, per una prima edizione, era buono. Era in sostanza lo stesso prezzo al quale potevo trovare la traduzione francese di Es-Sadi Tarikh Es-Soudan del 1964. La seconda ragione era che in realtà copriva quella parte di Africa che Strasser aveva ampiamente esplorato nei suoi viaggi e descritto nel suo Diario di Viaggio. Ma nessuna di queste ragioni era buona quanto le altre due.

Feci delle ricerche su Grafin van Schlosser e con mia sorpresa, o meglio con grande piacere, scoprii che era Grafin Emilia van Schlosser nata Hoffman. Era la figlia del dottor Hoffman le cui spedizioni africane erano state prese in considerazione da Strasser. Emilia Hoffman, scoprii, sposò Graf von Schlosser che era un cugino di Strasser, era il primo figlio della sorella della madre di Strasser. Questa era una notizia decisamente interessante dato che confermava ciò che Fritz mi aveva detto al nostro ultimo incontro a Monaco, cioè che Strasser era anche legato alla parte di Aristocrazia Nera che era, per ragioni che potevo solo sospettare, molto interessata ad esplorazioni africane. Condividevano tutti la stessa passione per l’Africa, per il Sahara e per i suoi segreti.

Ma c’era una quarta ragione per cui ero felice di aver trovato questo libro. Esso forniva infatti alcune informazioni biografiche sull’autore. Emilia von Schlosser, dopo la morte prematura del marito in guerra, lasciò la Germania e si trasferì sulle colline tra la Toscana e l’Emilia Romagna, vicino a dove il fiume Affrico confluisce nell’Arno.

La fortuna, contrariamente a quanto avevo sospettato, non mi aveva abbandonato. Avevo finalmente ottenuto alcune informazioni che mi servivano per risolvere il mistero. E meglio ancora, Grafin von Schlosser era viva, molto vecchia, e, come mi disse quando le parlai al telefono, ben disposta ad incontrarmi. La fortuna, pensai, è davvero dalla mia parte.

One thought on “L’Esca: Capitolo 15

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