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di Riccardo Pelizzo

Un’antica storia bantu narra di una vecchia donna che, rimasta vedova, ricevette in dono da un uomo misterioso alcuni semi di zucca, i quali si trasformarono nei figli che la donna non aveva mai avuto. La leggenda aggiunge che in un momento di rabbia e sconforto, la donna disse ad uno dei figli che era solo una zucca, e che il bambino, all’udire queste parole, si trasformò effettivamente in questo frutto. Siccome le leggende tendono ad essere caritatevoli anche con le madri che non se lo meritano, la versione tramandataci di questa favola popolare ci dice che, dopo molti pianti e pentimenti della madre, la zucca riprese fattezze umane e la donna imparò che si deve amare un figlio per quello che è.

            Ma la versione dolce e benefica che la tradizione ha canonizzato e diffuso, non è però quella autentica, che provo qui a riassumere.

            Ricevuti i semi, la donna li piantò tutti, eccetto uno che fu lasciato a seccare vicino al fuoco. Dai semi nacquero delle zucche che la donna, come si era ripromessa di fare, vendette al mercato, mentre il seme seccato fu ritenuto inutilizzabile e dato in pasto alle galline. L’uomo misterioso, inizialmente inviato dagli dei della montagna che si erano mossi a pietà per la donna, vedendo come questa avesse impiegato i semi, disse: «le zucche, nate dai semi che ti avevo dato in dono, si sarebbero trasformate nei figli che non hai mai avuto; ma per la tua ingordigia te ne sei disfatta; tu sola, dunque, sei responsabile della solitudine di cui ti lamentasti con gli dei.»

            La donna, folle per il dolore, corse a gettarsi nel fiume. Nacque così il coccodrillo ed è per tale motivo che ancor oggi questo animale, quando dà sfogo alla propria ingordigia, versa lacrime.