
by Ettore Maccopazza
La mia piccola avventura cominciò poco dopo la morte di mia moglie. Morì dopo una lunga malattia l’11 marzo 2004. Da quel momento in poi la nostra casa non e’ stata più la stessa. Io e Rebecca abbiamo passato buona parte della nostra vita nel nostro appartamento in Union Square. E’ qui che vissero i miei genitori quando si trasferirono a New York. E quando andarono in pensione, nei primi anni Sessanta, a Fort Lauderdale, io e Rebecca ci trasferimmo a casa loro.
Non era grande ma era molto vicino alla New York University, e Rebecca riuscì a mantenerlo un posto accogliente nonostante tutti gli oggetti che continuavo a collezionare.
Quell’appartamento è stato la mia casa per buona parte della mia vita. [Ci ho vissuto con i miei genitori ed è stato ancor più casa mia quando ci ho vissuto con Rebecca. Ho molti bei ricordi di quel piccolo appartamento] Lì abbiamo cresciuto i nostri figli, lì è dove sono stato felice. Ma dopo la morte di Rebecca quell’appartamento diventò immediatamente ostile, freddo. Non mi sentivo più a mio agio lì. Non era più casa mia.
Così dopo il funerale di Rebecca decisi di partire per un viaggio. Chiusi gli occhi, puntai il dito sulla mappa, e trovai la mia destinazione: Malacca. Lasciai New York, andai a Chicago, passai il pomeriggio a giocare a carte con Max Buschoff, con il quale ho sempre avuto un rapporto molto fraterno nonostante sia, in un certo senso, mio rivale in affari. Da Chicago andai a Tokyo, da lì a Singapore e infine a Malacca.
Nel complesso il viaggio andò bene e fu, come sempre, molto interessante. Nella fila dietro la mia, due signori parlavano olandese. Il mio olandese non è molto buono e solitamente non ascolto le conversazioni degli altri. Ma ciò che questi signori si stavano dicendo era talmente, come dire, interessante, che riuscì ad attirare la mia attenzione.
Non vidi nessuno dei due in faccia. Ma le loro voci facevano intendere che avevano età diverse. Il più vecchio doveva essere sui cinquantacinque anni, mentre il più giovane doveva essere sulla trentina abbondante. Ascoltando la loro conversazione feci alcune ipotesi, soprattutto per intrattenermi in un viaggio che avrebbe potuto facilmente diventare di una noia mortale. L’uomo più vecchio doveva essere un fumatore. La sua voce, che tempo prima doveva avere un tono da tenore, si era abbassata e oscurata in un caldo, ma tenebroso, basso baritono. L’altro uomo era più giovane , [né gran bevitore né fumatore] e la sua voce suonava sana, da bravo ragazzo.
Parlarono per ore di vari argomenti. Parlavano in modo competente di cose diverse che sapevo anche io abbastanza bene e di cose che ignoravo del tutto. Ecco perché cercavo di non seguire parola per parola quello che dicevano. Fu solo quando la loro conversazione passò alla democrazia che feci uno sforzo per capire di cosa stavano parlando.
Chiusi gli occhi, facendo finta di dormire, nonostante fossi molto vigile.
“Allora pensi davvero che la democrazia non sia una buona idea?” chiese il giovane.
“No, non lo è. Guarda le nostre società, con tutto quel crimine, quella promiscuità, quel disordine. La democrazia non è utile”
Poi continuarono a parlare di qualcosa che non capii. Il più giovane notò che c’era un’ondata di anti-semitismo.
“La sinistra radicale in Europa è anti-semita, il mondo arabo è anti-semita, i cristiani sono sempre stati in qualche modo anti-semiti. Sembra di essere tornati al 1938”
“Sei ebreo?”
“No”
“Bene”.
E con queste parole e una crescente infelicità nel cuore, mi addormentai.